Elogio dell’istante. Anna Maria Bonfiglio

Per intendere la liturgia dei giorni di Anna Maria Bonfiglio occorre attenersi alla sua poesia, al suo atto, al suo caso, al suo capitale poetico. Non si può intendere la liturgia prendendola dal luogo comune, dalla mentalità comune, dall’ideologia comune, dalla teologia comune. La liturgia non è la liturgia. La liturgia non è liturgica, non è un servizio pubblico, non è un servigio sacerdotale, e nemmeno reso alla cosa pubblica o in pubblico. Non è la scienza che tratta delle cerimonie e dei riti sacri (della chiesa cristiana). La liturgia e la cerimonia sono intrattabili, inconvertibili nel liturgico e nel cerimoniale. La scienza algebrale e geometrale è la scienza della parola negata, ideale, pensata, misurata; e così il liturgico e il cerimoniale sono la liturgia e la cerimonia negate, le due facce della celebrazione della vita.

La liturgia dei giorni di Anna Maria Bonfiglio è la poetica dell’atto, la struttura della frase: non è il quotidiano che si ripete minimo, uguale, ultimo. Non è il quotidiano infernale. È il verso nel suo giorno, senza riparo contro il dolore, contro il lutto, contro il trauma. Non c’è la ricerca dell’antidoto all’avvenire nostalgico: nessun condizionale passato e nessun futuro anteriore. La vita poetica di Anna Maria Bonfiglio si attiene all’assoluto della scrittura dell’esperienza: nessun relativismo per entrare nella ristretta cerchia di poeti del regime arcaico. Il regime intellettuale, poetico, immunitario si avverte in ciascun frangente dell’onda poetica del testo della poetessa siciliana.

L’enigma non è un punto fisso. La liturgia dei giorni non è una litania, non è un treno, un canto ultimo. Nessun ultimo giorno. Nell’atto di parola, l’età non è l’età: «ritorno bella e giovane fanciulla». Allora il peso della liturgia dei giorni si dissipa. La luce del mattino è inderogabile. La notte non è perenne. Ciascun istante è infinito e eterno.

La liturgia dei giorni non è la litania dei giorni. E la liturgia dei giorni non si sdoppia in liturgia del bene e liturgia del male. Anna Maria Bonfiglio non fa l’economia del male per giungere al bene. Non cerca la compensazione fra il bene e il male. Non redige il bilancio del passato: nell’atto la tentazione del ricordo è l’asterisco della poesia del futuro in atto. È anche una questione di etica: nessun cedimento alla morale sociale, al moralismo che ha orrore della poesia autentica, come quella di Anna Maria Bonfiglio.

La liturgia dei giorni non è finita, non finisce, non sottostà all’ultimo giorno. Dall’infinito del giorno e dall’infinito della liturgia: “sempre nova copia di materia sottonasce” (Giordano Bruno).

La poesia richiede l’infinito e l’eternità dell’istante. È questo istante che non cessa nelle poesie di Anna Maria Bonfiglio.

La lezione che traggo dalla poesia di Anna Maria Bonfiglio è che la poesia si svolge nell’onda dell’esperienza e non nella strada larga dei luoghi comuni. E quando nell’atto intervengono le sensazioni occorre la loro narrazione, e non celarsi dietro al celebre aforisma di Wittgenstein. La poesia non rispetta nessun tabù della parola. È così che dal canto della «Liturgia dei giorni», anche con i suoi fardelli, il peso si dissipa nell’«Inno» della poesia.

La vita, i giorni, le notti, non hanno nulla della psicopatologia e della psicocriminologia. La vita nella sua poesia non richiede la pena, non richiede la penitenza. La poesia di Anna Maria Bonfiglio è scritta sul Manifesto della poesia nell’onda del mio viaggio.

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