Henry D. Thoreau

Henry D. Thoreau

da Camminare e altri passi scelti

Piano B Edizioni, 2016

 

6 agosto 1851. In genere un uomo deve allontanarsi da casa per centinaia o migliaia di miglia prima che si possa dire che ha iniziato a viaggiare. Ma perché non inizia a casa i propri viaggi? Deve andare così lontano o guardare da così vicino per scoprire cose nuove? […] Bisogna essere un uomo di genio per viaggiare nel proprio paese – nel proprio villaggio natio – per compiere un qualche progresso tra la porta di casa e il cancello.

 

13 agosto 1840. Viaggiare e «scoprire» nuove terre, significa pensare nuovi pensieri e formulare nuove fantasie. Negli spazi del pensiero sono le leghe di terra e di mare su cui gli uomini vanno e vengono. Il paesaggio si estende tra di esse bello e sereno. Colui che ha pensieri più originali e profondi è anche colui che ha viaggiato di più.

 

11 gennaio 1852. La vera domanda non è: «Dove è andato il viaggiatore? Quali luoghi ha visto?» – sarebbe difficile scegliere tra i vari luoghi – bensì: «Chi era il viaggiatore? In che modo ha viaggiato? Quale autentica esperienza ne ha tratto?». In buona sostanza, infatti, viaggiare è lo stesso che restare a casa, e pertanto la vera domanda è: «Come vivi e ti comporti a casa tua?».

 

pp. 100, 101, 102  dai Diari

 

 

da Walden o Vita nei boschi

La Biblioteca Ideale Tascabile, 1995

 

«In ogni stagione, e a qualunque ora del giorno e della notte, è sempre stata mia cura migliorare quanto più potessi l’attimo in cui mi trovavo a vivere, e fermarlo per vivere nel punto d’incontro di due eternità, il passato e il futuro, vale a dire nel presente; e attenermi fedelmente a esso.»

 

«Ho innaffiato la mortella selvatica, il ciliegio e il bagolaro, il pino rosso e il frassino nero, l’uva bianca e la violaciocca, che altrimenti avrebbero potuto appassire nella stagione secca.

In breve, continuai così per lungo periodo (posso dirlo senza vanteria), fedelmente badando al mio compito, finché mi divenne sempre più chiaro che i miei concittadini, dopo tutto, non mi avrebbero mai ammesso nel numero degli impiegati municipali, né avrebbero fatto della mia occupazione una sinecura con un modesto stipendio.» 

 

pp. 29,30,31 da Economia

 

«Alcune delle mie ore più piacevoli le trascorsi durante i lunghi temporali primaverili o autunnali, che mi costringevano in casa sia il dopo pranzo che la mattina, addolciti dal loro incessante dirotto rumoreggiare; o quando un precoce crepuscolo annunciava una lunga sera nella quale molti pensieri avevano tempo di radicarsi e spiegarsi.»

 

p. 130 da Solitudine

 

 

da I boschi del Maine

La Vita Felice, 2010

 

«La levigatezza vitrea del lago addormentato, lavando le rive di un nuovo mondo, con pietre, scure e fantastiche, che si alzavano di tanto in tanto sopra la superficie, produceva una scena non facilmente descrivibile. Essa lasciò nella mia memoria un’impressione di selvatichezza severa ma dolce, che non sarà presto cancellata.»

 

«Ma nulla poteva superare la robustezza di quei rametti, nemmeno uno si spezzò sotto il mio peso, perché erano cresciuti lentamente. (…) Dalla montagna laterale arrivai all’orlo di una nuvola e questa segnò la fine della mia camminata di quella notte. Ma quando girai indietro avevo già visto la regione del Maine, che ondeggiava, fluttuava e si increspava, giù in basso.»

 

pp. 101,149

 

 

 

     «[…] Thoreau, almeno tra i filosofi, e nei luoghi in cui i filosofi dovrebbero lavorare (i dipartimenti di filosofia), è sostanzialmente un dimenticato. Una sorta di clandestino, corda tesa tra la letteratura americana ottocentesca e la poetica wilderness, le cui tesi e argomentazioni sono sostanzialmente cadute nel dimenticatoio».

 

     Così scrive nell’introduzione a Camminare e altri passi scelti curato da Stefano Paolucci, il filosofo Leonardo Caffo individuando con concisa chiarezza la crucialità che il pensiero del “naturalista” (come fu registrato nell’atto di morte avvenuta il 6 maggio 1862 a Concord, Massachusetts) occupa nell’ambito culturale del New England della prima metà dell’ottocento. Ma Henry David Thoreau è molto più di un naturalista: egli è – sopra ogni cosa – l’espressione di colui che è perpendicolare, devoto al proprio carattere, fermo nella propria originaria coerenza bizzarra: per quella fermezza, per la fedeltà al proprio daimon – fin dal momento del suo riconoscimento – è disposto ad accogliere, coltivare tutto ciò che risponde al dettato del demone che gli ha mostrato ciò che essenzialmente conta per vivere una esistenza pienamente conforme, rispondente ai richiami dell’eterno invisibile, che si mostra nello splendore del mondo incarnato: in particolare, in quella parte di mondo incoronato dalla vivezza botanico–naturalistica, dalle forme della libertà percepibili, osservabili nelle creature selvatiche – animali, vegetali, minerali, foreste, distese d’acqua, montagne…–, in ogni cosa ancora non piegata dalla frenesia economica all’asservimento del profitto.

 

     Altresì, gli ha mostrato nitide sequenze di Concord: la vita dei suoi abitanti, la forma mentis che li connota, i fondamenti della convenienza alla base dell’operare il cui olezzo è «emanato dalla bontà corrotta». Un originale, glorioso elemento intellettuale non rispondente al canone della pratica  filosofica tradizionale, percorso da incisiva connotazione di pensiero polifonico – pensiero avulso dalle regole speculative e volto invece alla partecipazione del sentimento, della vibrazione creaturale nel rilevare le declinazioni della vita a ogni livello del reale –, emerge dalla scrittura di quest’uomo dal “volto non comune”. Egli lo alimenta nel costante sguardo dialogico tra lui e l’intorno: un movimento di avvicinamento, coinvolgimento, indispensabile allontanamento secondo l’originario etimo di “dialogo”– ossia la partecipazione che discende da «interrogare, ascoltare, rispondere, consentire…» – gli permette di riconoscere nella cittadina di nascita non lontana da Boston il luogo della presenza fatale : luogo della partenza e del ritorno, Concord è l’omphalos : luogo reale e al contempo simbolico, sacro, che accentra l’esperienza e la lascia allontanare, edificare in un oltre essenziale e necessario alla fedeltà alla «voce dentro l’anima che non tace mai […]» secondo il privilegio delle virtù dianoetiche di cui Thoreau manifesta, nel breve tempo a lui concesso, ragione conoscitiva e discorsiva.

     La sua vicenda umana e intellettuale esprime tensione e ascesa della parte razionale dell’anima, così che i due anni trascorsi nei boschi intorno a Concord nella piccola casa costruita con le proprie mani, nella sola misura adatta alla solitudine e alla natura, risultano il processo ineludibile verso stati di coscienza più alti, di chiara lucida autoanalisi, la cognizione, la padronanza del tempo secondo le scansioni stagionali. Virtù talmente interiorizzate, che l’aura della devozione, l’adesione del sentimento e del pensiero alle «leghe di terra e di mare» convergono verso la parola bioamorevolezza: la materia spirituale e psichica, coniugate in un esemplare appassionato anticonformismo, si concentrano nel senso di acuta, inviolabile magnificenza del paesaggio, che mai è solamente scena fisica di fascinazione magnetica, ma è rivelazione di presenza sapienziale, unità e riflesso del «cammino che amiamo intraprendere nel mondo interiore e ideale…» secondo paradigmi di meraviglia rispetto cura per ciò che è vivente in forme differenti dalle umane. 

 

     Nell’abdicare al titolo accademico conferitogli da Harvard University, nel divenire battitore di sentieri non conosciuti nel Massachusetts, abitatore, ascoltatore di silenzi, navigante di piccoli laghi, camminante dei boschi del Maine, Henry D. Thoreau al paesaggio che lo chiama con voce di genius loci carica di senso risponde con una forma particolare di ascolto, dalla qualità al massimo grado: tutti i sensi sono acuiti, tesi a percepire le sinestesie che accadono nelle piegature della natura che si rivela nella sua pienezza, mentre il sé è impegnato a decifrare, trasformare movimenti suoni colori in mappe di significazione. Tra l’uomo dal “volto non comune”, dal talento magistrale che riconosce il mondo nel suo venirgli incontro mentre si protende verso di esso, e la natura s’instaura la relazione esemplare, fenomenologica di sguardo–voce–ascolto: una vera e propria relazione sintattica in virtù della quale il soggetto – colui che guarda, parla, ascolta – incontra l’oggetto – la natura che parla il suo proprio originario e originale linguaggio declinato in tutte le modalità sinestesiche – in un chiasmo che implica il senziente nel sentito, colui che vede in ciò che vede.

 

     Circa un secolo dopo, il pensiero di  Walden o vita nei boschi  – pubblicato nel 1854 –, asistematico, poetante, colmo di particolari, dettagli, ascolto decodificante fruscii suoni rumori secondo un’attenzione mistica e oracolare, testimonianza della ricerca di relazione intima con la natura in una esperienza della percezione che è squisitamente incontro con il sé; questo trascendentalismo che nel riconoscere un oltre al visibile annuncia il deposito di immagini mnesiche che consentono l’informazione tra l’osservatore e la cosa osservata, ha già irraggiato in Europa le sue frequenze di significazione sul pensiero di una sezione di L’Être et le Néant (1943) di J.–P. Sartre e di Phénoménologie de la perception (1945) di M. Merleau–Ponty. L’uomo inattuale dal “volto non comune”, che ha portato il suo corpo all’incontro con la selvatichezza della natura, ne ha inscritto tutti i segni, i codici, ha aperto la via alla riflessione fenomenologica sulla percezione che estende al corpo la condizione primordiale innata necessaria dell’esperienza così da essere l’apertura percettiva al mondo.

 

     Sopra ogni parola dei filosofi, sopra ogni sistema filosofico, non per soverchiante potere, ma per polarità di pensiero immaginale, raffinata percezione del mondo visibile e invisibile, sorge la parola dei poeti, l’aura di Poesia: in Europa, a Parigi, il 25 giugno 1857 – cinque anni prima della scomparsa di H. D. Thoreau – presso l’editore A. Poulet–Malassis, in tiratura di 1300 copie, si pubblicano Les Fleurs du Mal : Charles Baudelaire ne è l’autore.

 

 

IV. Corrispondenze

 

La Natura è un tempio in cui pilastri vivi

a volte emettono confuse parole;

l’uomo, osservato da occhi familiari,

tra foreste di simboli s’avanza.

 

Adriana Gloria Marigo

Luino, 10 Settembre 2023

 

 

 

 

 

 

 

«emanato dalla bontà corrotta»; «leghe di terra e di mare» : Henry D. Thoreau, Walden o vita nei boschi, La Biblioteca Ideale Tascabile, 1995

 

«un volto non comune» : Iosif Brodskij, Dall’esilio, Adelphi, 1988

«interrogare, ascoltare, rispondere, consentire…» : Michail M. Bachtin, L’autore e l’eroe. Teoria letteraria e scienze umane, Einaudi, 1988

 

«voce dentro l’anima che non tace mai […]» : Giovanni Gentile, Genesi e struttura della società, Sansoni, 1946

 

«cammino che amiamo intraprendere nel mondo interiore e ideale…» : Henry D. Thoreau, Camminare e altri passi scelti, Piano B Edizioni, 2016

 

«La Natura è un tempio in cui pilastri vivi…» : Charles Baudelaire, I Fiori del Male, Newton, 2006

Opera di Christiane Apprieux

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