Saba all’incrocio dei mondi/a cura di Myriam Carminati

Sono più di cinquant’anni che critici e scrittori dibattono sulla poesia di Umberto Saba. Le loro voci si sono intrecciate, sovrapposte, affiancate per dissezionarne l’opera e la vita, senza tuttavia riuscire a trovare l’origine del mistero della sua poesia, a svolgere fino in fondo la complessità che filtra dai suoi versi nonostante il suo dichiararsi “il poeta più chiaro di questo mondo”. Versi dichiaratamente “onesti”, “concreti”, legati a luoghi e date, non astratti quindi ma oggettivanti, che hanno uno straordinario effetto di verità. E che però non dicono tutto. Saba affermava di andare alla ricerca della verità, consapevole forse che sarebbe rimasta un’aspirazione, così come, in una celebre lettera ad Antonello Trombadori, definisce il Canzoniere non “un’opera di salute” ma di “aspirazione alla salute”. E questo perché i poeti non possono “cercare” niente – semmai trovano senza cercare – neanche il nostro, che spesso sembra scrivere i suoi versi con la stessa forza e istantaneità con cui un calciatore calcia la palla che si trova all’improvviso tra i piedi. La poesia, per quanto si cerchi di analizzarla, non si spiega e non si capisce, perché è invenzione. Saba dice “fenomeno naturale” in Storia e Cronistoria del Canzoniere, o anche “attitudine al sogno” nel carteggio con Joachim Flescher. E la verità che scaturisce dalla sua poesia non è la verità delle cose, ma una verità di parola. Da questo discende che per leggerla, e coglierne la grandezza, non occorre “atterrare” sulle cose. Non occorre riconoscerle nella realtà. Non occorre, in definitiva, cercare quello che Saba non dice, come taluni si affannano a fare: di fronte alla sua poesia senza rughe, cercano in cantina o in soffitta un ritratto come quello di Dorian Gray, in cui l’immagine volga al turpe, cercano la cosa sotto la parola, l’immagine reale sotto quella poetica. Ma il poeta trova la sua verità nelle parole di poesia in poesia. Pur riconoscendo l’opportunità e l’importanza di restituire al suo contesto la voce di un autore. Tra i convegni che si sono svolti in Italia e all’estero nel 2007, anno in cui cadeva il cinquantenario della morte, un contributo rilevante in questo senso è stato dato dall’appuntamento di Montpellier, in cui sono intervenuti esperti delle maggiori università francesi e italiane, i cui atti sono stati ora riuniti in un volume a cura di Myriam Carminati con il titolo Umberto Saba au carrefour des mondes, all’incrocio dei mondi (DOBU Verlag con il contributo dell’università Paul Valéry di Montpellier, pp. 247. 2008). All’incrocio di quali mondi si trova Saba? Sicuramente all’incrocio di culture da cui la Trieste dell’epoca era percorsa, “Trieste e le sue ambiguità, Trieste e il suo cosmopolitismo, Trieste e le sue culture mischiate, i suoi culti religiosi. Trieste che ispira il poeta e soffia la vita nella sua poesia” scrive Carminati nell’introduzione, la porta per cui la psicoanalisi discende da Vienna per conquistare l’Italia. Il “cielo del poeta” come titola l’intervento di Elvio Guagnini è stato, si sa, un tema centrale nella sua opera. Un cielo sotto cui palpita “la calda vita”, non solo sfondo ma personaggio della sua opera e del dramma dell’uomo che si carica sulle spalle tutti i dolori e le nevrosi del mondo. Trieste “luogo e osservatorio”, scrive ancora Guagnini “delle inquietudini della modernità”. Saba che “fu, per temperamento un classico maturato in ambiente romantico” (da Storia e cronistoria), si trova all’incrocio tra il mondo classico e la modernità. Assimila Dante, Petrarca, Parini fino a Leopardi per ritmo e metrica ma anche per il carattere epico e certi motivi ispiratori, come evidenzia Lorenzo Polato nell’intervento “Perché Saba è un classico” a proposito delle Cinque poesie per il gioco del calcio in cui è evidente il carattere epico-oggettivo: “la gara, il gioco, la festa per la vittoria, la città sono motivi che possono ricordare la poesia antica”.

Nell’insieme, la lettura degli interventi del convegno di Montpellier suggerisce una chiave di lettura: Trieste potrebbe essere l’equivalente della donna schermo di Dante. La poesia di Saba - nel caso di Trieste e non solo (anche, per esempio, la pollastra e la lunga cagna che paragona alla moglie Lina) - gira intorno a una concretezza che poi non si trova, ed è qui che risiede la sua misteriosa bellezza.

L’inequivocabile fraseggio dantesco di alcune poesie di Saba, ci dà modo di dire qualcosa dell’enigma della poesia stessa. Con Dante, la parola non ha potuto più nemmeno per un attimo essere presa per la rappresentazione della cosa. Quale “cosa” sarebbe infatti quella della poesia? Con Dante, questa cosa è risultata a mano a mano uno strumento, da cui per primo egli incominciò a trarre note inimmaginate, uno strumento con cui, da allora, ciascun poeta si prova a costruire più moderni accordi. Noi lo chiamiamo “poesia” senza averlo mai visto. E Saba, a volte, si prova a suonarlo nel modo più dantesco, ma solo per un attimo, poiché, anche se Dante dichiara a Guido Cavalcanti che vorrebbe essere preso dall’”incantamento”, il poeta non può affatto concedersi debolezze. Lo notiamo in tutto il rigore dello stile della poesia A mia moglie , che è, per così dire, l’alfiere di Saba contro la fantasia riduttiva della rappresentazione. La sfilata del bestiario rende del tutto insostenibile che si tratti proprio di Lina, pur nelle sue più estrose epifanie. Così chiudiamo la lettura cogliendo in che modo gli abusi di Saba vadano verso la più costruttiva catacresi del poetare moderno.

Saba infine all’incrocio tra autobiografismo e narrazione, il terzo “nodo” affrontato nel convegno di Montpellier. In effetti, l’autobiografia di un poeta è impossibile. Il titolo che Saba dà a una sua raccolta, Autobiografia appunto, risulta essere quasi parodistico, in quanto poi, in un’altra delle sue lettere il poeta scrive di essere stato lo scrittore “meno autobiografico che esista”, e che discutere sul suo presunto autobiografismo era frutto di un “enorme equivoco”. Infatti, quando si parla di un autore è lecito parlare solo di biografia, letteralmente scrittura della vita, che poi sia da intendersi esclusivamente come lettura della sua opera (la scrittura della vita di Saba è la sua poesia) oppure sia in qualche modo interessante integrarla con dati storici, sono due scuole di pensiero. “Poesia, narrazione, avventura interiore e risonanza di avvenimenti esterni e collettivi, dialogo con il mondo e al cuore del mondo si mescolano inestricabilmente nel Canzoniere” scrive Myriam Carminati, e il convegno di Montpellier ha cercato di indagare tutti questi aspetti, incrociando sguardi e approcci per cercare di restituirne – al di là dell’apparente facilità – tutta la complessità. Riascoltiamo la voce del poeta in una prospettiva allargata, che mira a riesaminare la questione del lirismo poetico nei suoi legami con l’esistenza, il luogo e la storia.

(Testo pubblicato su “Il Piccolo di Trieste”) 

 

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