Vincenzo Di Maro «Una stagione nascosta»

Come un oscuro canto quando cede
al risveglio, una lingua
a se stessa sconosciuta: l’uggiolare
del cane, il caro ammanco
quantunque meno lieve — dei giorni, rigirando
la zolla per rintracciarvi un’usta
elusiva o illusoria, all’orizzonte il
chiaro geroglifico dei monti.
Forse ogni forma anela alla parola
quanto la specie spera di lasciarla
per più muta coscienza, il solo giorno
del sole assoluto, l’apparente
clamore del pianeta. Poi,
nudo smarrimento
nelle notti terrestri

Vincenzo Di Maro, Una stagione nascosta



Leggo Una stagione nascosta di Vincenzo Di Maro (NEM, Varese 2019) e subito mi accorgo che non è una lettura facile. Scorre in queste pagine una poesia che si direbbe moderna, a tratti ermetica, che non mira certo alla comprensione, alla facile presa. Eppure poesia di suggestione classica, antica direi. Sangue antico e “la carne che in sorriso vacilla” producono scritture materiali senza tempo. La tradizione classica acquista in queste pagine perennità psichica. Sintassi, grammatica e punteggiatura inusuali, forzano a una lettura attenta, quasi una decifratura. Leggo e rileggo, cercando il filo che mi indichi la via che con la lettura arrivi alla cifra del testo, “Verità, farti e attingerti/se mi fronteggi e guidi/se spingi allato/io non sono che il luogo/che non ospita niente”. Certo l’io non è padrone in casa propria in questa versificazione, “nel nudo smarrimento delle notti terrestri” o “nel più breve/stupore,quando/ inutilmente tendiamo/ alla luce, alla voce”.

Una strana natura ci porta immagini che da conosciute sbalzano in enigma in un contesto sintattico anomalo: “‘Da questo mare si vedono le balene.’/Sì, ma in quale acqua siamo, chi/mi si rivolge: dentro quale/colloquio, dentro quale sperata/comunione, quando temo/parlino in me i già morti, i non ancora/vivi?”.
Paesaggi come correlati psichici, paesaggi senza luogo. Che tuttavia suggeriscono esperienze, storie, immagini che, anche se passate, illustrano l’attuale. Quale attuale? Un attuale di disincanti, certo, d’inquietudini, di precarietà, di cose vane. Eppure il disincanto non cancella l’incanto e, per giocare con le parole, soprattutto non cancella il canto: “… Ma pure/ plasmo vasi. Accolgono la visita/sempre pari dell’acqua, lo stupore che resta/dopo la fienagione./Sei preghiera, un dolore/da conquistare invano”.

Mi perdo fra richiami, echi persistenti di altre scritture, che si transustanziano nella scrittura dell’Autore. Poesie pittoriche, soprattutto nella sezione Lunario scritto sull’acqua. Una scrittopittura tipo De Chirico, fra realtà e sogno. Pittoriche anche quelle in cui sembra di ritrovare opere e storie di pittori noti, come il Mietitore di Van Gogh: “… e non le fioriture ma il fiorire/vidi, tono su tono all’atto della pioggia/e la stagione tra i due palmi arsi/ che piegano il frumento nell’abbraccio/del Mietitore. E poi, bocconi nell’ossido terrestre/nel pulsare del fuoco che si sposa/al cuore, fino al puro/colore/dello sparo”. Questo cercherò da ora in poi nell’opera di Van Gogh: il colore dello sparo, nei gialli, nei blu, nel gesto falciante del mietitore.

Sogno o realtà? Esiste davvero questa contrapposizione? Cito da Lascaux, adesso “Ma ora immerge la mano che nei sogni/torna ignota ed arborea, stellata, come l’erba,/fin dentro il buio la segue perché guida/e sostanza, riverbero dell’altro,/corpo che vuole sorgere, parlare”. La realtà non cancella il sogno che fornisce anch’esso strumenti di lettura, strumenti di scrittura. Esemplare in questo senso VII: ceci n’est pas la vie (Epilogo). L’Autore ci racconta in una prosa poetica un sogno o ricordi o immagini di un altro o di questo tempo dove la “realtà” sbuca imprevista a rendere straniante l’intera narrazione: “La sera che è tutte le sere torna vuota, un vento spira chissà dove. Un secondo silenzio si apre nel silenzio. Improvvise le fronde garriscono, sono vele. Il frutteto è un vascello, i morti un equipaggio, che salpa”.
 
E la pioggia che “inventa al sole un paradosso estivo” e la sera che “passa la cruna”: testo ricchissimo, testo teorico, da leggere e rileggere, nei dettagli e nelle piegature. Una vera ginnastica intellettuale.

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