Leggendo “Una donna” di Sibilla Aleramo

Giugno 2022, che lezione trarrò dalla lettura di Una donna di Sibilla Aleramo? Romanzo, autobiografia, testo capostipite del femminismo: già le prime righe mi traggono in quella lettura che non si può rimandare, che ti lega al testo come all'aria che respiri. Prosa poetica, narrazione senza l'urgenza del fatto.

Scritto e pubblicato nel 1906, libro di successo e tradotto in varie lingue, tuttora reperibilissimo in edizione economica Feltrinelli. Sibilla Aleramo, nome d’arte di Marta Felicina Faccio, nata nel 1876 a Alessandria.

Nel caldo giugno del 2022, cosa potrà mai insegnarmi questo libro, scritto nei tempi lontani in cui le donne non avevano diritto di voto, non avevano diritto allo studio, non avevano diritto alla lettura e alla scrittura, al pensiero.

Eppure, proprio nella seconda metà dell'800, la produzione femminile in campo scientifico e letterario emerge prepotentemente. Collaborano con impegno alle nascenti importanti riviste culturali, dal “Marzocco” alla “Nuova Antologia”. Le donne pensano e scrivono, trafugano libri dalle librerie di padri e fratelli.

Sibilla racconta nel suo romanzo — da tutti ritenuto appunto autobiografico — di una fanciullezza “libera e gagliarda”, forse anomala per quei tempi: figlia prediletta dal padre professore universitario che dirige le sue letture e impronta la sua educazione a ideali di lealtà e schiettezza.

E la madre? Figura tragica di donna che non accetta condizioni di vita intellettualmente avvilenti, ma che non trova la forza di sovvertire tali condizioni. Nel corso della narrazione intendiamo che questo squilibrio porta la madre a un tentativo di suicidio e al definitivo ricovero in manicomio, dove morirà.

Sibilla, Rina o l'anonima protagonista del libro, cresce a Milano, già allora grande e vivacissima città. A dodici anni però si trasferisce con la famiglia in un paese del centro Italia che i biografi identificano con l'attuale Civitanova Marche. Il padre vi dirigerà una vetreria, avendo lasciato d'impeto l'insegnamento.

Quindicenne, lavora come contabile nell'azienda paterna. Ma ecco, il padre ha un'amante di cui tutti ormai sanno nel moralmente misero paesino, la madre oscilla tra furia e abbattimento.

Bella, ardimentosa, loquace, il conforto che un collega di lavoro offre alla protagonista del romanzo si tramuta subitamente in una violenza. La narrazione riporta con forza il disorientamento di chi neppure capisce quanto accada: “Un mattino fui sorpresa da un abbraccio insolito, brutale, due mani tremanti frugavano le mie vesti, arrovesciavano il mio corpo…”. Nessun compiacimento, nessuno svelamento, nessuna recriminazione. Anzi, una sorta di assunzione di responsabilità di chi non si vorrebbe vittima. E a nessuno racconterà quanto accaduto.

“Appartenevo a un uomo, dunque?”. Leggiamo in quelle pagine un'esplorazione della sudditanza: a chi, a cosa?  “La fatale seduzione del sacrificio”, così la definisce la Aleramo. Contribuire all'itinerario altrui — figli, mariti — può farsi in assenza di quel particolare itinerario che ci riguarda, senza la ricerca che ci guida alla qualità di vita?

La violenza di uno stupro, la violenza in percosse, una donna le sopporta, fino a quando? La violenza di un'ideologia sociale, morale, biologica che pensa le donne predestinate a un ruolo, a una fragilità, a una limitatezza di compagne devote, sostenitrici dei destini altrui, una donna le sopporta, fino a quando?

E un uomo, fino a quando può sopportare di farsi carnefice, cannibale, di farsi specchio della miseria umana? Apparentemente emblemi della comoda figura padrone/schiavo, di fatto uomini e donne in stato di schiavitù, schiavi di una convenzionale idea di sé che li agevoli nell'assenza d'intellettualità.

Interrogarsi sul convenzionale, sul così fan tutte, non è cosa facile. Questo m'insegna il romanzo di Sibilla. 165 pagine per arrivare a un gesto che sfugga alla consuetudine sociale. 165 pagine che precisano la difficoltà di fantasticare una via specifica, l'audacia poi di metterla in atto. L'audacia di sfuggire a una predestinazione familiare e sociale.

A un passo dal condividere il destino della madre (la protagonista del romanzo tenta anch'essa il suicidio), ricadendo ripetutamente, quasi fosse una malattia dura a guarire, nella feroce normalità del cliché familiare, fatto di svilimento reciproco.

“Pensare, pensare! Come avevo potuto tanto a lungo farne senza? Persone e cose, libri e paesaggi, tutto mi suggeriva ormai riflessioni interminabili ... La loro varietà era infinita. Tanta ricchezza era in me?”.

“In realtà la donna è una cosa che esiste solo nella fantasia degli uomini, ci sono delle donne, ecco tutto”.

E la donna si compie in quanto madre. E il figlio risulta triste pretesto di sopportazione, quasi una corda al collo. Preferisce, la protagonista, lasciare il figlio morendo, piuttosto che lasciarlo, vivendo un'altra vita.

Sibilla lascia l'angustia del paese marchigiano, ben prima di trasferirsi in un'altra città. Le letture, la scrittura, la collaborazione con riviste, la corrispondenza la situano altrove. E sempre il figlio ridotto a pretesto del ricatto familiare: o il figlio o l'indipendenza, impossibile comunque ormai da cancellare.

E questa vicenda di donna mi porta a un altro grande libro di quella bella stagione letteraria: Teresa della scrittrice Neera. Qui prevale il nome, nel testo della Aleramo, si tratta invece di una donna che sta nell'anonimato. Una donna, un significante nella serie. Una serie che spezza l'insieme, una serie che richiede differenza e varietà. Anche Teresa arriva all'audacia di una partenza, all'audacia di un viaggio inusuale.

In questo giugno 2022, con grande onore, per alcuni tratti mi trovo anch'io a viaggiare con Sibilla, con Neera e altre che sempre ringrazio e che vi invito a leggere.

Maria Grazia Amati nasce a Varese, vive per più di trent’anni a Milano, dove lavora in ambito editoriale occupandosi di traduzione, della cura editoriale di libri e riviste, della lettura e selezione di manoscritti. Ha pubblicato un libro di fiabe, “Venere e Maria. La fiaba originaria” (Spirali, Milano 2002) e altri brevi racconti e poesie su riviste. Negli anni più recenti compie una ricerca in ambito letterario in particolare interessandosi alle poetesse dall’Ottocento alla prima metà del Novecento, raccogliendone i testi da pubblicazioni antiche di cui sta curando, nella collana “Donne in poesia” (Bertoni Editore), delle riedizioni che ne consentano un’ampia fruibilità.

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