«Orellana» di Francesco Saba Sardi

La favolosa storia del conquistador Orellana

 

 Se fosse un poema, sarebbe una chanson de geste dell’età moderna; se fosse un film sarebbe Aguirre, furore di Dio di Werner Herzog; in cui un tenebroso Klaus Kinski veste i panni del folle e spietato luogotenente Lope de Aguirre, che alla guida di una spedizione di conquistadores penetra la splendida e turgida giungla amazzonica alla ricerca del mitico El Dorado; se fosse un copione teatrale, sarebbe il canovaccio ricco di splendore di una rappresentazione da teatro dei pupi (o forse, meglio, dell’Orlando di Ariosto). L’ultimo, particolarissimo romanzo di Francesco Saba Sardi, Orellana (Spirali, pp. 200, 20 euro), è in realtà tutte tre le cose. Vi si racconta una storia, la “vicenda di un viaggio insonne e pericolosissimo” e le imprese del conquistador Francisco de Orellana, personaggio storicamente esistito, luogotenente di Pizarro durante la spedizione del 1541 ad est di Quito, che insieme ai suoi compagni - un pugno di manigoldi suoi pari - percorse, navigando, tutto il Rio delle Amazzoni, fino alla foce. E lì, il fiume fu battezzato, in seguito allo scontro con un gruppo di indiani guidati da una dozzina di donne evocanti le amazzoni della mitologia greca. L’avventuriero spagnolo, “famoso tra i più famosi, di angelica biondezza e di altissimo lignaggio”, formidabile guerriero, feroce e traditore, viene trasfigurato in un eroe leggendario “che affronta mostri favolosi, le ninfe del fiume, le amazzoni cannibali, e trionfa di mille subdole creature uscite dalla profondità di acque in perenne metamorfosi”. Le difficoltà del viaggio e gli incontri con le mitiche figure si susseguono nel libro come sequenze di più films, che s’intersecano con scene di teatro, senza soluzione di continuità. Il fatto è che, tra cinema e teatro, c’è il filo di Arianna, che Saba Sardi invoca, e che tesse il romanzo, ma non certo il romanzo presunto della narrazione classica. Qui l’autore propone la sua rivoluzione, nel labirinto di foreste, acquitrini e correnti impazzite, nel quale non si scorge il filo. La questione che egli pone con il suo romanzo è proprio che romanzieri e poeti, dopo lo shock dell’Orlando di Ariosto, hanno cominciato a intravedere che il filo di Arianna non è posato, bel et bien, nel labirinto: un ben povero labirinto, in questo caso, come un’ordinata serie di sale di un museo, con tanto di segnaletica. E ci dispiega dinanzi, dall’alto di un profluvio amazzonico, questa consapevolezza. Che, cioè, come Arianna non ci “azzecca” con Orellana (né con nessun uomo: al massimo, forse, con le “consesse” Amazzoni) così anche il suo filo non ha inizio né fine nel labirinto, favoloso e crudo, delle correnti e delle paludi amazzoniche. Sicché non è abusiva l’evocazione dei cavalieri di Ariosto, tanto quanto quelli dell’opera dei pupi, che le guasconate di Orellana sollecitano, nell’enigma che sorge dall’indagine sull’introvabile filo.

Triestino di nascita ma residente da sempre a Milano, Saba Sardi è anzitutto un notissimo traduttore. Oltre seicento i volumi che ha tradotto da cinque lingue diverse. Autore di libri, tra cui il romanzo Onan e saggi come Il massacro, moventi e storia dei militarismo, Il secolo dei libertini, Sesso e mito, Nascita della follia, La perversione inesistente ovvero il fantasma dei potere, Miti e leggende da tutto il mondo, Dominio, ha scritto anche libri per ragazzi e ha compilato per Mondatori una vastissima raccolta di fiabe di varie parti dei mondo. Ha curato numerose edizioni di classici e pubblicato poesie in varie sedi, oltre a raccolte di versi. Ha tradotto opere di Mann, Melville, Cervantes, Calderón de la Barca , Victor Hugo, Zweig, Hesse, Goethe, Lope de Vega, Eichendorff, Bernard Shaw, Szasz, Tolkien e molti altri. Presso Spirali la sua versione prefata e commentata della Nave dei folli di Sebastian Brant, tradotta dal tedesco antico. Con Spirali ha inoltre pubblicato il romanzo Dottor Sottile (1984) e il saggio Il traduttore libertino (1997). Orellana va letto per l’appunto come il romanzo di un traduttore: incastro linguistico e di generi. Inizia come un poema epico ed ecco, a squarciare il racconto, il teatro delle ombre di Don Baphof, burattinaio discendente dal settecentesco licenzioso poeta veneziano Giorgio Baffo, che venuto in possesso di un prezioso manoscritto di un componente dell’equipaggio del brigantino dei conquistadores, la “Cronaca di Gonzalo Hernandez de Oviedo”, inscena davanti a un “Io” le gesta di Orellana perché “tutto è sempre rappresentazione, che altro sappiamo? Tutto è impersonazione che tende alla lettera. Le figure che qui convoco, e sono io a dar loro la voce, e io stesso, e lei, egregio signore, obbediamo a mille e mille ruoli. Ruolo o lingua, siamo costretti da noi stessi a dire noi stessi. A rappresentarci”.

Così la storia diventa vero e proprio copione, un intercalarsi di battute tra Orellana, Pizarro, Don Hernan, frate Caspar, il nostromo, il fiume e molti altri personaggi. E le cinque lingue conosciute da Saba Sardi si mescolano in uno strano composé, non scevro da affascinanti e polifonici abusi linguistici (“lingua verderamata verdocchieggiò dalla sonora pisside e rivolò nel nido”).

Un romanzo anomalo, nella mescolanza di avanguardia e tradizione, che si presta a diversi registri di lettura, non ultimo come testimonianza delle esperienze eccezionali dell’autore, degli instancabili viaggi, del periodo di convivenza con i pigmei, delle osservazioni di luoghi e persone lunghe una vita.

Un libro che tuttavia racconta una storia favolosa. Come finisce la storia del nobile conquistador Francisco de Orellana? Ciascun lettore provi a immaginarlo. Quello che sappiamo è che “al ‘sempremorto’ sovrano di Madrid in preda all’Inquisizione, fa dono della sua conquista per ottenere il titolo di Adelantado, governatore assoluto dell’Amazzonia”. E si propone di tornare “dove cantatano gli arara nelle foreste natali, dove ragni giganti intessono la luce, non ci sono torri, non ci sono chiese, le lacrime sono inutili, mai vi fu peccato, mai vi fu perdono”. Ma gli sarà concesso?

Prima pubblicazione su “Il Piccolo di Trieste”

Opera di Hiko Yoshitaka, 2003

 

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