Scrittura e arte. Quale ideografia

Se la querelle delle immagini non è mai cessata e ancora oggi il pianeta è preda dell’oscillazione tra iconoclastia e iconolatria è perché l’immagine sfugge a qualsiasi campo di battaglia. L’immagine originaria ha una potenza tale che non c’è centrale di controllo che non rischi di esplodere. Ecco l’importanza dell’immagine costituita, istituita e infine destituita. Pare addirittura che oggi le guerre, per altro invisibili, siano dapprima guerre di immagini. Una volta vinta la guerra delle immagini, con le contro-immagini, quelle di propaganda, il resto è un corollario militare.

L’apparato di padronanza e controllo dell’arte, dipartimento del discorso tecnico-scientifico-gestionale, che sorge nel diritto romano canonico con una lettura dogmatica dell’imago Dei, che tanto peso ha avuto e ha con i ritratti di Cristo, persino con le varianti presunte laiche delle donne in croce, non si esercita solo nel mercato, come tanta facile sociologia dimostra, ma permea sia l’educazione artistica degli artisti sia l’educazione artistica del pubblico. La distrazione di massa, élites comprese, è tale che i valori propagandati, i valori connotativi e sociali, sloggiano i valori originari, quelli che ciascuno incontra singolarmente nel suo itinerario di vita. Opere come quella di Pablo Picasso sono ombre sul muro della caverna platonica, immagini per prigionieri della società dello spettacolo.

Le indagini sulla natura dell’immagine sono pressoché dismesse, e comunque rare sono le ricerche sul loro funzionamento. Dalle ipotesi filosofiche di Jean-Paul Sartre nell’Imaginaire (tradotto in italiano con Immagine e coscienza) alle indagini cognitivo-comportamentali della psicologia sperimentale, come nel caso di Ulrich Neisser, alle più recenti ricerche di Pierre Legendre e Hans Belting, giungendo all’alfiere delle indagini odierne che è Georges Didi-Huberman, senza trascurare altri teologo-politici involontari dell’immagine, come Jacques Rancière, ne Le destin des images, la posta in gioco rimane oscura. Non è chiaro neanche il percorso che va dall’immagine in Freud all’immagine in Lacan: nel secondo c’è una teoria dell’immaginario ma non dell’immagine. È da leggere tra le righe. Come fa Armando Verdiglione. Nella sua opera troviamo l’immagine come marca del significante, e la dimensione delle immagini non è l’immaginario di Lacan ma la sembianza. L’immagine non è fissa ma semovente e presa in una trifunzionalità: funzione di inibizione, funzione di esibizione e funzione di abduzione. C’è una teoria del teatro e del cinema…  Una teoria del dogma, e questo senza più il dogmaticismo della generalità che assume il principio teologico dell’immagine come riflesso divino.

Teoria non di facile approccio: la marca del significante per leggersi richiede una formazione linguistica e una formazione psicanalitica, non dispensata dall’odierna psicanalisi rientrata nei ranghi della psicoterapia, congiunti a quelli della psicologia e della psichiatria, che cercano nell’artista il caso patologico: il genio e la follia. La consacrazione per meglio esecrare.

Ciascun elemento linguistico ha un suo aspetto, una marcatura, nella dimensione delle immagini, il cui tratto maggiore è l’inimmaginabile, mentre le istituzioni scorazzano mostrando le immagini istituite, immagini immaginabili, significabili, costruibili e distruttibili. Alla marchiatura originaria dell’immagine sostituiscono il marchio sociale.

Ciascun elemento della vita evoca un’immagine. Nomi, significanti e altro dai nomi e dai significanti sono anche immagini inimmaginabili. Si tratta di scrittura, della più alta forma di scrittura che è la pittura per Leonardo. Gli elementi entrano in una combinatoria e in una trasformazione che sono materiali, linguistiche e immaginali. Questo è il laboratorio di ciascun artista. La percezione della teoria del caos è quotidiana: più che altri l’artista, che anche per Freud ha un vantaggio sulla psicanalisi, avverte che ciascun atto artistico può provocare non solo la caduta della borsa di New York ma anche la trasformazione dell’avvenire del pianeta, in una direzione di impossibile digestione per le oligarchie di potere, che sia chiaro non padroneggiano un bel nulla: infatti da secoli sono un fallimento dietro l’altro.

L’ideografia, la scrittura delle immagini, delle idee se vogliamo tenerci ancorati all’etimo greco, non è l’epistemologia iconica che sovrasta ciò che appare e nemmeno la substantia immaginifica che starebbe sotto ciò che appare. Ciò che appare è innegabile e si scrive. Scrittura dell’immagine, scrittura del linguaggio e scrittura della materia. Nessuna immagine fatta, ossia immaginabile, nessun uso del linguaggio, ma le usure del linguaggio, e più nessuna scrittura sostanziale e mentale.

Il mentale di Leonardo, la “cosa mentale”, è la cosa intellettuale, che richiede l’immagine intellettuale, insignificabile.

Secondo un luogo comune dell’epoca, l’arte non significa, ognuno ci mette del suo, legge nell’arte ciò che vuole … La non significazione delle cose è solo un teorema negativo. La significazione è ricercata e recuperata disperatamente. Allora l’arte significa il gesto sociale o anti sociale. Sarebbe una forma di critica ideologica del presente. Così è pubblicizzata, per esempio, l’opera di Maurizio Cattelan, strutturata come un azzardo fiscale, un subprime: un domani potrà rivelarsi un prodotto tossico, un rischio senza scrittura, ossia un pericolo di insignificanza.

Un contributo essenziale in direzione intellettuale, senza debiti per i saperi universitari e neanche per quelli dei guru dell’arte, è quello di Alessandro Taglioni, la cui formazione artistica si è fatta all’Accademia di Venezia e la sua formazione culturale è proseguita con l’Università del secondo rinascimento di Milano. Nel 2009 ha scritto un libro dal titolo intrigante: La materia, Dio, l’arte. Alcuni elementi della nostra ricerca vengono per l’appunto dal confronto con questo testo e con questo autore come artista. Se vale l’ipotesi corrente che il breve scritto sul serpente di Aby Warburg ha rivoluzionato la critica d’arte di questi due secoli, allora l’opera di Taglioni  rivoluziona il terzo millennio.

La sua ipotesi di Dio è non teologica. La materia dell’immagine non è più soggetta alla sostantificazione della somiglianza a un dio antropomorfo, fatto a immagine e somiglianza degli oligarchi al potere, che potranno comunque mettere nelle loro stanze le opere di Taglioni.

Nulla è fuori dall’arca, nulla è fuori dalla parola, nulla è fuori dall’arte, nulla è fuori dalla cultura, nulla è fuori dalla scienza (che non è il discorso scientifico). Altroché l’arte per l’arte. Da qui l’importanza di ciascuna vita e di ciascun gesto di vita. À plus forte raison, risalta l’importanza dell’arte e della sua scrittura. Un elemento entra nella vita, nell’arca della pittura come immagine, nell’arca della musica come suono, nell’arca della letteratura come lettera… E si combina con altri elementi e si trasforma.

Ciascun elemento è materiale, linguistico e immaginale. Elemento libero, anarchico, ingovernabile, e quindi insostanziale, insignificabile e inimmaginabile. La marca dell’elemento di vita nella dimensione di sembianza è l’immagine. E l’elemento nel linguaggio è nome, significante e Altro. Il nome si compie nel simbolo, il significante si compie nella lettera, l’Altro si compie nella cifra. La percezione, che non esiste fuori dalla parola (nessuna percezione extralinguistica, preverbale) riguarda l’impercetto più che il percetto, l’oggetto della parola, il suo fuoco, il suo colore. Questo è il colore della pittura, lo scandalo della verità , e non la pizza rifritta del colorismo. Non si percepisce la cosa e invece si legge la sua narrazione. E la denotazione rispetto alla connotazione sociale è un aspetto dell’inconscio. Ciò che appare partecipa alla struttura narrativa. Tale è il racconto dell’arte: l’opera è insignificabile eppure dal segno si giunge alla sua qualità, alla sua cifra. Mentre per un fraintendimento (pilotato dal business) l’insignificabile è scambiato con il principio d’insignificabilità in cui si culla tanta arte astratta senza nessuna astrazione intellettuale.

L’astrazione si fa di passo in passo, è semplice, quanto di più concreto per Kandinsky. E curiosamente è dall’astrazione matematica di Frege che proviene la nozione di ideografia. È la nostra scrittura, la nostra pittura, la nostra scultura!

[Transfinito, 2012]

Christiane Apprieux, “La battaglia dell’immagine”

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Intervista a Anna Zafesova