Alessandro Taglioni, «I ricettari»

Un libro fittissimo di personaggi, luoghi, tecniche artigiane pittoriche e poetiche, dunque inedito e sorprendente, da centellinare e degustare, questo di Alessandro Taglioni, maestro (termine specifico e non generico, come precisa l'autore) che ho avuto il privilegio di conoscere personalmente negli anni Ottanta e di cui ho apprezzato non solo la diversificata produzione, ma anche la curiosità intellettuale e la sperimentazione costante in vari campi. Non a caso dagli anni Settanta anima una bottega la cui produzione 'si incentra sul tema “pittura e scrittura”'. Un testo, il suo ultimo (perché autore anche di “L'Italia nella pittura”, 1994; “La materia, Dio e l'arte”, 2009; “La perfezione. Il miracolo del Quattrocento”, 2017), che non mancherà di coinvolgere pittori, restauratori e scrittori, ma anche i soli cultori dell'arte che qui possono scoprire i segreti e il modus operandi nelle botteghe dei pittori medievali e rinascimentali. Rivolgendo uno sguardo critico alla letteratura artistica moderna, il testo propone “un approccio linguistico per trasmettere l'esperienza della pittura attraverso le sue materie”. Narrandoci infatti, trasportati quasi in una favola, dei pigmenti anzitutto e della loro elaborata ideazione e preparazione, ottenuta da piante, pietre, minerali e spezie, materie organiche e non. Preparazione fatta di esperimenti, viaggi, sapienza, paziente attesa e mani “in pasta”, o sporche, diremmo, se l'espressione non rischiasse di evocare ben altri scenari. Leggendo e rileggendo nel contempo statuti, carteggi, ricettari, dal Cennino a Mary Merrifield, dal XV al XIX secolo. Una ricerca storica, documentale e a latere etimologica di grande valore. Un itinerario affascinante tra Magna Grecia, Cappadocia, Mesopotamia, Egitto e Oriente alla ricerca delle materie prime del “color giallo che è chiamato ocria”, del verde malachite, dell'azzurro lapislazzulo, dell'indaco che giungeva da Baghdad e oltre. Fil rouge nell'arte pittorica dal Medioevo al Novecento.

Nel Rinascimento, Leonardo da Vinci incarna la figura dell'artista globale, abbattendo ogni specialismo settoriale. Dipinti immortali ma anche note, aneddoti, favole, schizzi, invenzioni che rivelano la necessaria integrazione tra le arti e, nello specifico, tra estetica e poetica. Scrittura, arti visive e arti plastiche inestricabilmente legate in un gioco di continui rimandi, arti che imitano la natura, e di essa si servono, ma non la rappresentano. La ricerca delle affinità costruttive dell'immagine dipinta e di quella narrata, e l'analisi degli scambi tra pittura e latteratura, “arti sorelle”, è uno dei punti fermi di questo libro, che attraverso un'indagine complessa, con gli strumenti della critica dell'arte e dell'analisi testuale, indica che pittura e letteratura attingono alle stesse fonti: il lato visivo dell'espressione poetica e quello immaginifico dell'espressione pittorica illuminano un'arte per mezzo dell'altra. Da sempre infatti sono esistititi scrittori che dipingono e pittori che scrivono. Solo per fare alcuni nomi, Dante disegnò il profilo di Beatrice, Viktor Hugo era un buon pittore; Puskin, Gogol e Kafka hanno lasciato dei disegni; e , d'altro canto, De Pisis, Soffici e Carrà si sono provati in testi letterari. Nasce l'esigenza di comprendere certi meccanismi strutturali del segno, di verificare le intuizioni immediate dell'atto creativo, di afferrare il balenìo tra visibile e invisibile, di cogliere la poesia del disegno e il disegno della poesia.

L'approccio che l'autore adotta ha a che fare con l'infinito, nel senso che, pur in una ricostruzione storica dettagliata e precisissima, non riferisce l'opera d'arte al periodo storico cui appartiene. Pertano, molto provocatoriamente, potremmo dire che non c'è storia dell'arte perché riferirsi a una storia dell'arte che tenga conto della cronologia significherebbe riferirsi all'arte come alla natura, nella quale è impossibile scorgere l'artista, significherebbe affidarsi all'occhio e non allo sguardo. Rimandiamo a Jacques Lacan che introduce la schisi tra occhio e sguardo. L'occhio vede ma non guarda, invece  nella raffigurazione pittorica lo sguardo c'è, qualcosa che richiama l'attenzione e non è visibile.

Tenendo conto di quanto detto fin qui, una questione cruciale diventa quella del restauro e dell'opera del restauratore, cui l'autore dedica un intero capitolo. Come restituire con immutata fedeltà certi capolavori? Temo, ma questa è una considerazione del tutto personale e da profana per di più, che qualcosa vada inevitabilmente perso nella formazione moderna del restauratore, sempre più parcellizzata, sempre più scientifica e meno artigiana, sempre più cervello e meno mano, senza “l'ausilio dei materiali che troviamo nei ricettari antichi, come la gommalacca e la trementina, le resine naturali, e pure quelli estremi come la soda dei vulcani”. In modo illuminante Taglioni scrive: “il restauro concerne il legame fra memoria e materia”. Attualmente il ministero della cultura riconosce almeno dodici ambiti di competenze per i restauratori. Si va dagli specialisti di supporti cartacei e lignei, agli specialisti delle superfici decorate dell'architettura, al restauro tessile, per arrivare ai restauratori di strumenti musicali e perfino di auto d'epoca. Sempre più scienziati e meno artigiani, attenti a riparare più che a restituire. Ed è una questione non da poco quando si ha a che fare con il tempo.

I Ricettari. Pigmenti e tecniche. Il testo della pittura è un unicum, un libro che si può leggere a vari livelli sfogliandolo come una cipolla. Scoprendo notizie e curiosità dell'arte pittorica, prendendo spunto da citazioni colte e insolite, facendosi sorprendere da sottili intuizioni e dalla profonda conoscenza di testi rari. Potremmo definirlo banalmente un saggio, ma di fatto una lama che penetra nei meccanismi dell'atto creativo e del talento.

 

Alessandro Taglioni, I ricettari. Pigmenti e tecniche. Il testo della pittura, Bertoni Editore, 2023, pp. 252, € 18,00

 

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