Leggere Verdiglione n. 25
La questione politica
«Dire tutta la verità, escludendo la funzione di terzo inerente alla testimonianza, pone il principio della sconfessione, richiesta tanto al credente quanto all'eretico. Dire tutta la verità non è possibile se non nell'assenza della rimozione primaria» (La psicanalisi questa mia avventura, 1978, Marsilio, 1997, Spirali, p. 36).
I richiedenti, gli esperti e gli inquisitori, pongono gli uomini come portatori e le donne come supporti della “confessione, pertanto della sconfessione della materia della parola” (Il giardino dell’automa). La confessione è quella della professione del discorso dei richiedenti, al netto della materia della parola, al netto della rimozione, della nominazione.
La prolessi della verità, nel dirla tutta, esclude la testimonianza, esclude il cifratore, esclude la cittadinanza. Resta la pastorale agricola, la metafora paterna.
Il principio della sconfessione (Verleugnung) cristallizza la parodia della confessione, già intollerabile per gli inquisitori del Malleus maleficarum, il maglio delle malefiche, edulcorate nelle versioni benefiche e benefattrici.
Il principio di sconfessione, che richiesta anche al credente è principio di confessione, è il principio di avere e il principio di essere: è sconfessato il “non”: sia “non” dell’avere sia “non” dell’essere. Qui il “non” dell’avere si precisa come il “non” della rimozione primaria. Il “non” che introduce la nominazione, che come parodia si è prestata all’analisi come “logica della nominazione”, che rispondeva anche alla questione fantasmatica posta dal lacanismo che stava sloggiando Lacan con la “logica del significante”.
«La negazione della rimozione porta certi psichiatri a sostenere che ciascun atto diverrebbe possibile a partire da un potere invisibile. Perciò sotto il principio di una padronanza del linguaggio cercano la vittima, come quel bambino che serve sempre a risolvere l'impasse di una teoria, nei gialli della pedagogia» (Id.)
La credenza nel potere invisibile è la stessa che interviene nella demonologia: non è il corpo che si muove ma è l’anima che muove il corpo. E l’anima è preda di angeli e di diavoli, di streghe e di stregoni. Che i migliori credenti nell’anima siano gli psichiatri trova suffragio anche in Freud che non dismette l’impiego del termine Seele. Il potere invisibile è appannaggio anche della psichiatria: a cos’altro è dovuto il potere dello psicofarmaco? Che ciascun atto divenga possibile a partire da un potere invisibile è l’incantesimo come fatto, anche quello che riempie la casistica del Malleus maleficarum, fra l’anagrafe e al demografia.
Gli psichiatri sono gli “esperti” nel testo delle Memorie di Schreber, che non può che cogliere l’occasione dell’insonnia assumendo il sonnifero, magnificato dallo psichiatra Flechsig. Lo spaccio del sonnifero è un “atto possibile” per il potere invisibile, il potere della prolessi dell’avvenire: l’avvenire del sonno che chimicamente verrà. Altra è la questione di chi dorme da anni solo assumendo sonniferi. E la linguistica in ciascun caso è differente e varia.
E gli esperti, pur non essendo tutti psichiatri fanno gli psicologi: ognuno ha la sua teoria della conoscenza, della coscienza, del soggetto, nonché del bambino. Non c’è esperto che non sia superesperto di bambini. Vede il bambino come la prefigurazione dell’adulto che sarà e quindi si pone dinanzi al bambino e gli parla come presume che parla il bambino. Ogni adulto parla al bambino scimmiottandolo, facendo il bambino del bambino.
“Quel bambino”? Gli adulti «sotto il principio di una padronanza del linguaggio cercano la vittima»: è quel bambino, quella donna, quel nemico. Al fantasma di padronanza deve bene o male sottostare la sudditanza. E il punto di vista fa il resto. E il sospetto inaugura la colpa e la penitenza. Il bambino visto è colpito dalla saccenza dell’esperto. «Come quel bambino che serve sempre a risolvere l'impasse di una teoria, nei gialli della pedagogia». La parodia della pedagogia psicanalitica? Dal piccolo Hans al piccolo allo specchio di Lacan? Qual è l’impasse di Freud? Quella dell’avere introdotto la sessualità nel confinamento umano del bambino? Impasse di una teoria in cui resta quasi inestricabile la conversione della sessualità in erotismo. Qual è l’impasse di Lacan? Quella di avere introdotto la schisi confinata nell’immagine allo specchio di un bambino, fra il diviso e il frammentato? La questione dei bambini, come indici dell’infinito in atto, non risiede nel bambino che ognuno pensa di avere dinanzi. Il bambino della pedagogia, il bambino da forgiare come suddito della società, del sistema, del mundus. Quando invece, insegna il caso di qualità Armando Verdiglione: siamo noi come dispositivi d’interlocuzione dinanzi ai bambini che ci insegnano.
Schreber irride il dio della pedagogia che ha commercio solo con i cadaveri e irride anche il babbo il cui laboratorio pedagogico è una stanza di tortura.
«In particolare il sintomo dell'archeologia contemporanea emerge in coincidenza con due appuntamenti che costituiscono l'impatto con la psicanalisi, quello della teoria e quello della sessualità» (cit., p. 37). Sconfessata la nominazione: ognuno si chiede da dove vengono i nomi. Ognuno s’ingaggia nell’archeologia, nella ricerca dell’origine, del fatto arcaico, dell’arcaismo, del senso primitivo del destino assegnato. E quante teorie dei nomi. E quante della sessualità. Nell’ebraismo non c’è il nome di dio: c’è il nome, HaShem. E si discute dei nomi di dio e dei nomi dello spirito del male. E da queste due frasi si dischiudono laboratori di infinite questioni. Il nome, i nomi, dio, HaShem, Shem, spirito, ruah, male…
Il caso di qualità Armando Verdiglione approderà più avanti a ulteriore precisazione: «non c’è archeologia, né del senso, né del sapere, né della verità» (Il denaro, la moneta, i soldi, “Il secondo rinascimento” n. 24, 1995).
A proposito della punta dell’intellettualità in materia di sessualità: non ce n’è una che non sia impantanata con l’erotismo. Nell’atto è reperibile, tra le righe, il varco in Freud e in Lacan. Negli epigoni è irreperibile. Chi analizza il fascino per le vergini magre di Lacan? Chi analizza il fascino della principessa Bonaparte per la falloforia freudiana?
Ecco un lungo passo di pag. 37, che stiamo citando:
«Il procedimento dell'archeologia ribadisce cioè oggi il monismo junghiano: attraverso la ripresa del formalismo semiotico tende a spazzar via propriamente il linguaggio. Per questo non considera il diritto, il fantasma che lo sorregge, le sue falle incontrollabili che si spingono fino al soggettuale, al travolgimento della dottrina della competenza. Non considera la struttura dell'isteria, la funzione di rimozione. E la sessualità come vissuto, prodotto o insieme, serve all'equazione fra modello descrittivo e modello normativo — con una ricerca del codice dei comportamenti e con una ripresa del formalismo semiotico universalizzante. Trascurando quel che costituiva l'apporto di Lacan fin dagli anni cinquanta con la critica del comportamentismo: il fatto che il sesso non abbia nulla a che vedere con il “vissuto”.»
Il procedimento dell’archeologia di ieri (capitolo “La sovversione della ragione”, 1977) è il procedimento dell’archeologia di oggi, che salda insieme anche le neuroscienze e l’intelligenza digitale. Non c’è un libro oggi in cui la sessualità non risulti un vissuto di cui sfoggiare la conoscenza della sua archeologia, fra arcaismo familiare e arcaismo tribale, per poi passare all’arcaismo di gruppo e all’arcaismo sociale.
E non è più questione nemmeno di formalismo semiotico: basta lo sformato semiologico in tutte le salse.
La linguistica di Lacan nell’atto di qualità Armando Verdiglione è l’asterisco della cifrematica. È la cifrematica che da il suo statuto alla psicanalisi di Lacan. Lo psicanalismo a disorientamento lacaniano è senza Lacan, non lo questiona, non analizza gli enunciati: li serve come piatti riscaldati al microonde.
È una costante anche l’illocalizzabilità dell’interdizione e dell’adiacenza linguistiche. In poche righe s’intersecano questioni che possono sembrare lontanissime e invece l’intersezione ha la sua ratio. Lacan e Marx? E qui non è questione del discorso capitalista al quale si appendono gli epigoni dell’urkommunismus.
Che per Lacan, citato: "il sesso non abbia nulla a che vedere con il “vissuto", passa nella questione che «L'(u)omosessualità resta un sintomo: cioè si costituisce quale
struttura altra. Non si oppone all'eterosessualità, non ne forma il limite.» Da tale questione l'adiacenza del sintomo ci porta al qui pro quo di Marx. «Per la funzione di rimozione lo scambio si fa nel qui pro quo: il parlante scambia quel che non ha.» E qui arriva la citazione di Marx da Il Capitale, libro I, cap. I, 4, e oggi mi sembra una citazione di un passo di Verdiglione: " Mediante questo qui pro quo i prodotti del lavoro diventano merci". Poi è ben altra l'avventura linguistica del caso di qualità Armando Verdiglione, che coglie come il qui pro quo sia il valore di scambio, e quindi: «Il mero fatto economico esiste soltanto in quanto fantasma e in quanto feticcio». E salta non solo il feticismo delle merci ma anche quello dell'equivalente generale sul quale poggia ogni dottrina, non solo economica, ovvero religiosa, militare, burocratica.
La questione non è più quella di un’economia logica, appannaggio dei logici, «Ma un’economia strutturata dalla logica della nominazione» (cit., p. 37).
Nella lezione di Armando Verdiglione, Edipo incontra l’enigma della nominazione e non il proclama della peste in nome del nome, che richiede l’assoggettamento al totem e al tabù.
Da Adam Smith a David Ricardo, da Pietro Verri a Karl Marx, da John Maynard Keynes a Milton Friedman, da Friedrich von Hayek a Jeffrey Sachs con le sue 34 lauree ad honorem: chi non converte la questione politica in questione teologica del potere?