Chi sta praticando il genocidio?

Note in margine alla lettura del libro di Bernard-Henri Lévy, Solitude d’Israël.

 La questione Israele non può andare senza il mito, senza “ieri”. Il mito di Israele, il mito oggi, come ieri, è il mito dell'accettazione della vita, della vita assoluta, della vita che non accetta nessun compromesso con l'idea di dominio e l'idea di impero. Nella fiaba erano schiavi in Egitto, poi in Babilonia, poi nell'impero romano: è una schiavitù mai accettata, è una schiavitù che ha cercato il varco, e non solo nel mar Rosso, in direzione della cittadinanza assoluta, che va con la testimonianza assoluta di vita. Non ha accettato di servire in Egitto, non ha accettato di servire in Babilonia, non ha accettato di servire in Roma. Questa è la resistenza, la restanza del mito ebraico tra l'Oriente e l'Occidente.

 

È curioso come a Oriente, detto Medio Oriente, ebreo sia in ebraico chi guarda a Occidente. L'Oriente che guarda a Occidente, possiamo osare dire tra Oriente e Occidente, anche oggi, a migliaia di anni dopo l'invenzione dell'ebraismo, Israele è una Repubblica Occidentale in Medio Oriente. L’ebraismo non guarda a Oriente, viene da Oriente e va a Occidente. E l’Oriente ideale è in una guerra di cancellazione, quella che mena la comunità islamica contro l'ebraismo e non solo.

C'è anche tutta la faida, la fitna, la guerra interna all'Occidente con questo che non è Oriente, non è Occidente, è l’Israele della diaspora, che non si è conclusa con la nascita dello stato nel 1948. E quindi la faida fra due monoteismi: fra il trimonismo cristiano faccia a faccia col monoteismo ebraico. Oggi la scena è occupata dal jihad, dalla guerra esterna, la guerra fra Oriente islamico e Occidente greco, romano, nonché ebraico. E Gerusalemme, Roma, Atene restano da leggere.

Appena un cenno. Il cristianesimo è un ebraismo che risponde alla distruzione del Tempio nel 70. È il tentativo di compiere storicamente il compimento della Torà, anche come salvezza dalle schiavitù. Il primo cristianesimo ebraico poi è stato investito, cancellato quasi a zero, e rivestito con panni greco-romani come dottrina del potere. Dottrina che nemmeno oggi sfiora l’ebraismo, che resiste contro la morsa islamica, che non stima i fratelli palestinesi e li usa come scudi.

 

L’islam si trova in questa guerra in una postura che richiama quella del cristianesimo, quella dell’innesto sul tronco ebraico. Perché? Perché questo altro ramo dell'ebraismo, questo mito o mitologia, questa branca araba di Abramo che diventa Ibrahim, in cui Agar era la serva, vuole cancellare l’origine, l’albero della vita. Volere immane, e per questo attribuito a Dio, se vuole.

 

C'è la questione di quel cristianesimo non ancora giunto al mito. Il provincialismo cristofilo antisemita è ancora fortissimo in Italia, certo più nascosto che manifesto, è quello che oggi è in piazza pro Palestina.

La questione è in quel cristianesimo che profondamente rimane antisemita, non solo in Germania (non solo nel protestantesimo), e questo detto da un cattolico, battezzato, cresimato, comunionato, sposato e tra i molti se non moltissimi cattolici che leggono la Bibbia con costanza e hanno letto e leggono vari libri intorno alla costruzione dell'ebraismo, del cristianesimo, dell'islamismo e non solo, anche delle religioni o delle dottrine di altri paesi, dalla Cina al Giappone, dall’India alla Persia, senza trascurare la Mongolia dell’Orda.

 

Un cenno alla questione ucraina. L'Ucraina è tra due, anche nell’etimo, è la frontiera, letta come discrimine fra l’Oriente e l’Occidente. Tra l’altro, come annota Stefano Caprio, eccellentissimo lettore della questione russa, la Russia di Putin si volge completamente a Oriente e cerca di distruggere l’Occidente che è ancora il padre della mitologica madre Russia.

 

Annotiamo queste poche cose in margine, molto in margine alla lettura del piccolo e intenso libro di Bernard-Henri Lévy, e sono questioni su virgole, accenti, indici, segnali, asterischi, ma sull'essenziale non erra sulla questione israeliana e sulla questione ucraina. Non erra nel leggerle come fronti di una battaglia, che è nella parola ancora prima di situarsi in campi provvisori. Sull'essenziale Lévy non ha smarrito la bussola e con questa bussola scrive; e la bussola stessa scrivendosi si reinventa. E sfata gli stereotipi dell’ebreo errante, di cui è fatto bersaglio lo stesso Bernard-Henri Lévy, che ha appena concluso anche un suo terzo film in difesa dell’Ucraina.

 

Perché tanto odio contro gli ebrei? Perché tante calunnie contro gli ebrei. Perché tanta invidia contro gli ebrei? Perché tanta caccia contro gli ebrei? E perché le piazze e le università dell’Occidente non sono si sono riempite in favore d’Israele dopo il 7 ottobre? Perché gli intellettuali più lucidi hanno inteso subito che era ripartita una caccia all’ebreo che non ha rifugio in nessun angolo del pianeta?

 

Questo fratricidio è mitico. L’uccisione dell'ebreo? Quasi tutti lo vogliono uccidere. Che cosa dovrebbe dare questa uccisione dell'ebreo? Sarebbe l'ultima guerra, l'ultimo fratricidio prima che ci uccidiamo tutti? Ma chi cazzo racconta ancora questa favola? Carl Schmitt con la sua necessità del nemico? Heidegger che con l’altro inizio vuole sterminare la machenschaft ebraica, che è la metà del suo dasein depositato nella banca di Meßkirch? Aleksandr Dugin che arraffa Heidegger, Guénon e Evola per forgiare il vero proiettile di spirito asiatico, che è quello del suo suicidio?

 

Chi uccide il fratello si uccide. Caino uccide Abele e fonda la città dell’odio?

Noi giungiamo a un'ipotesi, che segue all'ipotesi provocatoria di Verdiglione, che ho appena letto ancora nel Manifesto del secondo rinascimento del 1983, dove dice che Caino per fondare la città non ha più bisogno di uccidere Abele. Mentre è difficile e arduo staccarsi da quel che è scritto dal testo, ovvero che è quel Caino che uccide e fonda la città.

Il nostro approccio all'ebraismo viene anche dal viaggio del nostro aquilone fra costellazioni linguistiche ignote.

 

Concludo con una parabola in cui Caino e Abele sono le due metà dell'impersonaggio, sono lo stesso personaggio, non sono due. E non sarà mai il due conflittuale di ogni fratricidio. Il frater non muore. Scritto poco prima dello scatenarsi della guerra d’invasione russa dell’Ucraina, un nostro testo è stato letto il 28 marzo 2022 nella Biblioteca nazionale di Tunisi, in omaggio all’amico Gérard Haddad e alla sua opera: “Non ucciderai tuo fratello”.

 

Com’è divisa in due, in tanta teoria, l'affettività e l'aggressività? La lettura in corso è rispetto alla metà, al doppio, al sommario e al frazionario, ovvero al doppio della metà e al doppio dell’uno. Siamo nell'ambito ideale, fantasmatico, quindi ci sono tutte le variabili. Ogni elemento preso in queste dicotomie mostra due facce: la liturgia e la cerimonia, ovvero la dettatura e l'esecuzione. L'esecuzione è geometrica, la dettatura è algebrica, ma tutte queste misture sono nella lettura di Lévy il male assoluto. L’ipostasi, che rimane una demonologia, è una parodia estrema, non è neanche una caricatura, è già parodia nel suo modo di assegnare il male, nella sua lettura dell'ebraismo. Ipostasi relativa nel senso che ci sono infiniti relativismi algebrali e geometrali, e così tutte le sfumature.

Teoria dell'esecuzione? Una dettatura dell'esecuzione? Eppure un'assunzione teorica dell'esecuzione rilancia lo scenario e allora abbiamo una liturgia dell'esecuzione e una cerimonia esecutiva, si rovesciano su di loro le cose, ma anche perché questa è la logica del rovesciamento, del principio di uguale, A è uguale a B e B si rovescia, B è uguale a A. È il rovesciamento, il rivoltamento. Il doppio volto.

 

La questione ebraica, che è la questione della parola originaria, è la questione della nominazione, è la questione della sua fondazione, è la questione dello zero.

L'instaurazione dello zero va con l'instaurazione dell'uno, l'instaurazione dell'Altro. Nessuna rappresentazione dell'Altro nei termini d’un meta zero o d’un meta uno, nei termini d’un padre del padre, di un nome del padre, o nei termini di un figlio del figlio, nel figlio uno, nel figlio unico, nel figlio doppio, nel figlio incerto.

Il figlio unico, per rimanere tale, occorre che uccida ogni fratello. E allora il frater ucciso non certifica più il filius, per questo rimane senza certificato, rimane incerto e nella sua incertezza continuerà a uccidere chiunque all'orizzonte si mostri come un fratello, anche maggiore o minore. Sotto queste frasche c'è anche l'uccisione dell'ucraino come fratello minore, e il fratello russo, maggiore per autocefalia, conferma l’inesistenza del padre russo.

 

L'instaurazione dell'uno è l'uno che si divide da sé, che differisce da sé; e è questo l'uno certo, l'uno che non teme l'infanticidio, l'uno che non cerca la relazione genealogica che lo fondi come certo. E non cerca la relazione genealogica con il padre. Quindi le maree di figli unici, tutti figli doppi, perché si tratta dell'uno, binario, trinitario, anche quaternario, possono proseguire ancora e per millenni, ma non restano meno fatue.

Il teorema dell'uno: “non c'è più figlio unico”, vale anche “non c'è più fratricidio”.

Il figlio non muore, l'uno non ha da dividersi in due, metà buona, metà cattiva, metà Caino, metà Abele, perché non si divide da solo e non si divide in due. Il fantasma di dividersi in due, di farsi in quattro e di moltiplicarsi ancora, va con la questione di vincere provvisoriamente in questo frangente, in sæcula sæculorum, la guerra tra fratelli. Ecco un miliardo e mezzo di islamici che vogliono la sparizione dei 15 milioni di ebrei, tra dentro e fuori Israele. Si tratta di difendersi dal Golia hamassiano? Davide occorre che inventi i dispositivi della riuscita, del proseguimento della vita civile.

 

Non scritto in XII tomi da 1200 pagine l’uno: Ebreo è ciascuno, non ognuno, non chiunque, ciascuno come dispositivo di vita. Ebreo è lo statuto di chi non accetta il dominio, non accetta l'impero. Ebreo è chi si attiene alla nominazione. Certo c’è nella Torà la questione del nome di Dio, Hashem. Hashem non è il nome di Dio, ma neanche Yahweh, il tetragramma è l'illeggibile. Il tetragramma è un asterisco dell'innominabile e dell'anonimato del nome: Ha è articolo, Shem “nome”.

Sul nome del nome, ovvero sull’espunzione del nome, si edifica ogni sistema di potere e la guerra fra sistemi di potere. Qui è la questione: quando s’instaura la pace planetaria? Quando s’instaura la pace mediterranea, quando s’instaura la pace a Gerusalemme, nella Gerusalemme della parola, ovvero quando per ciascuno s’instaura la nominazione, la procedura per integrazione e non più per disintegrazione e apparentati.

 

Nel 1983 quando vado a Gerusalemme per il congresso internazionale “Freud”, organizzato dall'équipe del movimento freudiano diretta da Armando Verdiglione, ho la sensazione di sentirmi a casa, perché la casa è nel cielo. Gerusalemme celeste è la città del cielo, è la città dell'arte e della cultura, della combinazione tra il corpo e la scena: ciascun granello di terra nel pianeta è Gerusalemme, ciascuna goccia d’acqua nel pianeta è Gerusalemme. E osando nella cifratica del lessema “ebreo”: il mio corpo è ebreo, la mia scena è ebrea ed è per questo che sono cattolico. Chi non intende vada a leggersi l’etimologia di “cattolico”.

 

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7 ottobre. Il più grande eccidio di ebrei dalla Shoah