Alessandro Taglioni, “I ricettari”

La Pittura di Alessandro Taglioni

I Ricettari. Pigmenti e tecniche. Il testo della pittura. Bellissimo, eccellente, sontuoso banchetto artistico, d’interesse estremo, uno squarcio che sospende il culturame in materia d’arte. È un libro che nessun altro poteva scrivere. Un viaggio formidabile, anche nei dettagli infinitesimi delle ricette dei colori. È il romanzo teorico del colore lungo il filo della cultura e la corda dell’arte. Bellissimo il flusso narrativo in merito al nome dei colori, alla loro storia, alle loro combinazioni, alle variazioni infinite. Ciascun aspetto dell’analisi di Taglioni è importante, conta molto anche l’analisi dell’epoca, avviata e portata avanti sin dagli altri libri: L’Italia nella pittura (1994); La materia, Dio, l’arte (2009); La perfezione. Il miracolo del Quattrocento (2017).

Il testo della pittura è la sua restituzione con l’analisi dei ricettari, ossia i libri dell’esperienza degli artisti del rinascimento. Nessun discorso sull’arte, nessuna appartenenza al discorso occidentale, che pratica il pettegolezzo di piazza e il metalinguaggio aulico, entrambi luoghi comuni.

La pittura negli scritti di Taglioni non ha luogo, non è pianificabile, non è lastricabile di buone o di cattive intenzioni. È la pittura quale arte del colore, senza più il colorismo dei professionisti e dei funzionari della pittura ideale, la pittura negata, cancellata, destrutturata, devitalizzata.

Il luogo della pittura richiede la quadratura del mondo e il luogo comune per antonomasia. L’analisi di Taglioni non ha nessun bisogno del  soggetto, della stampella di ogni sistema del potere, anche nel suo aspetto di potere sull’arte e sulla vita degli artisti. La libertà di scrittura di Alessandro Taglioni non è palpabile, non è percepibile, non è toccabile: nessuna comunità di spirito, nessuna ristretta cerchia degli scribi del tiranno ha presa sulla sua parola e sulla sua lingua.

Nessuna soluzione della differenza assoluta del caso di qualità Alessandro Taglioni. Semmai ogni artista che aspiri all’ispirazione assoluta può avviare l’itinerario col gesto del pingitore che si chiede perché nell’arcaismo, anche transumano e transcosmico, la sua pittura sia una differenza soluta, uno sbrodolamento artistoide in cerca d’autore, ossia di qualche capocomico della critica d’arte e della sua cricca.

Per parodia, contro Hegel : nessun «soggetto dell’arte, il soggetto artista che, in un viaggio spirituale, dapprima interiore e poi esteriore, arriva all’emergenza della propria piena soggettività che ha nell’arte il suo migliore mezzo di espressione. Si tratta di un’idea libertina e romantica, facile e, quindi, accettata in ogni epoca». Così Taglioni in un suo scritto del 2010.

 

La raccolta straordinaria di testi intorno alla pittura, alle sue tecniche e sopra tutto ai suoi materiali è unica come palinsesto che ha richiesto l’arte della combinazione e della combinatoria di Alessandro Taglioni, che fra il 1968 e il 1970 acquisisce i primi rudimenti per impastare i colori e preparare le tavole presso l’atelier del maestro Mario Rapanelli, che viveva a Corridonia, paese innatale, isola volante dell’artista da giovane. Non è per riduzione della complessità all’unità che opera Taglioni, la sua non è una procedura per disintegrazione, com’è il vezzo della pittura dell’epoca, e nemmeno opera dall’unico verso il molteplice, perdendosi nel delta della Next Age. Nessuna discesa verso l’abisso e nessuna salita verso la cima. La procedura di Alessandro Taglioni è per integrazione. È per integrazione l’apporto dei maestri, fra i quali Jožè Ciuha, insegnante a Salisburgo e Emilio Vedova, insegnante a Venezia. È per integrazione il suo lavoro nell’ambito editoriale, in particolare del testo pittorico di autori europei. È per integrazione che vive e lavora da dodici anni sulle colline umbre dell’onda del suo viaggio artistico e culturale.

La testimonianza civile (nessuna “inciviltà” contro l’andazzo del mercimonio dell’arte) di Alessandro Taglioni emerge dalla sua bottega rinascimentale in relazione alla questione intellettuale: “pittura e scrittura”. Come non rilevare che la pittura senza scrittura è appannaggio dei pupazzi creati e decreati dal business dell’idea dell’arte? Nessuno ha idea dell’arte, da qui l’inderogabile bottega, l’irrevocabile laboratorio, l’incancellabile officina: lo spaccio senza più nessuna “bestia trionfante”.

 

La novella di Alessandro Taglioni è intellettuale, non è l’ennesima novella dei popoli, dopo le novelle teologiche e ora le novelle dell’algoritmo definitivo che sostituirebbe gli umani. Il romanzo teorico e il manuale pragmatico sono due strati della procedura per integrazione del Maestro.

I ricettari sono quelli antichi, come il Libro dell’arte di Cennino, e moderni, come gli Original Treatises di Mary Merrifield, per altro mai pubblicati in Italia. È convocata l’arte tintoria, l’arte pittorica e l’arte ceramica. E solo il viaggio dei lapislazzuli è un romanzo, e un capitolo nella saga dell’azzurro.

La linguistica di Alessandro Taglioni è la quintessenza della sua procedura per integrazione, sia di prosa sia di poesia. Ecco il cominciamento del libro:

La pittura è leggenda. Il diario di bottega

Camminando fra sentieri e vocaboli delle colline umbre, quasi sentiamo gli echi lontani della battitura e della macina dello scotano, pianta preziosissima per ottenere il colore

purpureo e altri rossi. Lo scotano era in uso anche per la concia delle pelli e come fitoterapico. Era una pianta sacra, in origine selvatica, poi coltivata in grandi appezzamenti, sempre curatissimi.

Il colore era materia di pochi, si produceva con il macero, con la fermentazione, con la cottura e si perfezionava nel tempo di un paternoster, di un’avemaria o di un miserere. Proverbi e racconti contribuivano a una produzione che proseguiva anche in trasgressione delle feste comandate.

Il colore ha regalato nomi a borghi e città, nazioni e interi continenti.

C’è anche lo strato bellissimo della manualità delle preparazioni, delle tecniche e dell’effettiva applicazione dei colori, dalla tempera grassa e magra, al pastello, alla stesura di fondi, all’applicazione della foglia oro e altro ancora.

Dai colori dei classici alla catastrofe acrilica (il cerimoniale della cancel art che debutta con Marcel Duchamp), dai ricettari ai carteggi, dalla lingua delle arti alla questione del restauro, il palinsesto della scrittura dell’esperienza di Alessandro Taglioni offre infiniti sbocchi alla curiosità artistica. Ciascuno può avviare un’altra lettura dell’arte avvolto nella ricchezza del pleonasmo de I Ricettari. Pigmenti e tecniche. Il testo della pittura.

 

E la conclusione è preludio:

La scrittura d’arte

È ora di leggere un dipinto come un testo e di restituirlo in poesia, far sì che non resti un titolo o un nome, come quello di una città che non visiteremo mai. Restituirlo in poesia proprio come faremmo con un paesaggio en plain air, nel piacere di una lunga passeggiata in collina.

 

Di collina in collina il viaggio narrativo di Alessandro Taglioni è nello squarcio, nella sospensione assoluta della cultura attribuzionistica, ossia tassonomica, genealogica e gerarchica, in cui il Novecento ha ficcato ogni artista, secondo criteri per somiglianza e per diversità, nonché per opposizione. La scrittura di Alessandro Taglioni è leggera, elegante, dissidente, e sfugge alla presa delle scritture di sistema e di antisistema, non si piega alle scritture notarili per parentele fisiognomiche, fra le famiglie e le tribù. Nessuna compilazione per somma o per frammenti. Nessuna tassonomia in serie o in parallelo.

L’assioma di scelta, al quale si attiene il luogo comune anche in materia d’arte, la libertà di fare quello che ognuno vuole, è un’idealità, un fantasma, dopo la lettura del libro di Alessandro Taglioni. La decisione dell’artista è pragmatica, non è arbitraria. Allora procedendo dall’apertura per integrazione ciascun elemento entra nel viaggio, e la restituzione è in altra qualità, in altra pittura, in altra arte, in altra cultura, in altra scrittura.

Nel confronto impossibile fra artisti, Alessandro Taglioni risulta incomparabile, enigma della differenza pittorica, sentinella della civiltà mediterranea.

Il suo libro è intellettuale e non sottostà all’arbitrio della conoscenza e del mercimonio delle opere conformi a tale arbitrio, quali le opere di successo. Il suo libro è riuscito e non ha nessun debito nei confronti delle opere di successo. I successi odierni saranno dimenticati e i caveaux dei milionari saranno scrigni di tartufi bianchi marci. La riuscita è di ciò che resta. Van Gogh e Modigliani non hanno avuto successo in vita. Eppure nessuna cancellazione dell’arte e della cultura. Resta la pittura e la scrittura della restituzione di Alessandro Taglioni.

 

Alessandro Taglioni, I ricettari. Pigmenti e tecniche. Il testo della pittura, Bertoni Editore, 2023, pp. 252 (in libreria a settembre).

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IL TESTO DELLA PITTURA

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Intervista a Gigliola Tallone sull’Archivio Cesare Tallone