La dieta di Putin

Per chi oggi non distingue fra l’invasore e l’invaso, e nemmeno fra la vaniglia e la vanillina, è il caso di provare a interrogare le diete dei dittatori. Qual è la dieta durante una guerra? Qual è la dieta della guerra d’offesa e qual è la dieta della guerra di difesa? Non possono che essere due diete del disordine? Sono due diete della paura?

Sembrano questioni anodine rispetto alle colossali questioni di cui si occupano strateghi, diplomatici e politici. Eppure la forza della parola emerge in ciascun dettaglio di vita e offre l’indice della direzione, che sfata lo smarrimento, ora planetario. Mai come in questa guerra la dittatura delle fake news ha un’importanza capitale. E la posta in gioco è sfatarle, analizzarle, dissiparle, fugarle.

Qual è la dieta di Putin? Che cosa ingerisce e che cosa ritiene d’ingerire? La bocca e il ventre come metafora? Molto di più: è lo stesso modello di vita, anche di quello della Russia sotto il suo dominio.

“Cos’è la guerra?” Non riprendiamo qui i grandi che si sono posti la questione. Parodiando, possiamo dire: procediamo qui dalla nostra pancia, dai biscotti americani con la stella americana, che circolavano ancora in grossi stock a fine anni cinquanta, a mio padre morto a seguito della “dieta” in campo di prigionia.

La guerra è fratricidio. È il fratello a essere ucciso. La cosa è fatua, e per questo si ripete. Questione di dieta d’amore e di odio. Infinite le storie, come quella della zuppa di lenticchie rosse come il rosso di pelo Esau. Eppure il fratricidio simbolico operato da Giacobbe ingannando il padre resta un fratricidio sospeso. È l’intollerabile che serba la realtà intellettuale: la zuppa di Giacobbe vale la primogenitura.

Qual è la dieta di Putin? Non è la dieta mediterranea! È una dieta russa che viene da lontano? Una misticanza slava, scandinava, condita in salsa ortodossa, con qualche sentore mongolo e qua e là un trito finissimo mediterraneo? Noi con gli stessi ingredienti potremo fare un’eccellente cucina di vita, non evitando la variazione artistica, non impiegando la ricetta del capocuoco putiniano, Alexandr Dugin, che mette tutto nel calderone teosofico e cucina quel polpettone che vale la guerra, ovvero la pena e la penitenza e l’incenerimento di una nazione che non accetta la dittatura dell’Unico.

La dieta di Putin come la dieta di ogni dittatore è la dieta cannibale, sino all’autofagia. La lezione culinaria della Russia sovietica, che si è divorata da sola, per implosione e non per essere stata invasa da un’altra nazione sovrana, non è stata accolta. Non c’è stata la digestione intellettuale dopo il 1989. La dieta di Putin è quella del rimedio e del veleno: la guerra come rimedio universale per estendere l’impero e il veleno per uccidere gli sfidanti più audaci. È ironia della storia che William Burns, il capo della Cia, abbia predetto che Putin rischia lo stesso assassinio per avvelenamento.

È noto dal tempo di Ippocrate che dove la dieta fallisce arriva la farmacia, che è una sorta di cucina di contrasto.

Le ipotesi di malattie di Putin, che riportano vari media, sono fake news? Ognuno gioca allo psicopompo di Putin, traghettato fra la demenza senile e il cancro, fra i disturbi cerebrali e il morbo di Parkinson. Noi ci chiediamo se Putin abbia disturbi digestivi e quali. Sono noti i disturbi gastrici di Hitler, che ha dovuto ricorrere alla dieta vegetariana di una cuoca magiara.

Quello che conta per intendere anche la direzione delle trattativa di pace sono i segnali che provengono dalla dieta inversa di Putin. Anche se la storia non ha ancora rubricato un caso in cui un dittatore arresta la sua folle corsa e rinsavisce, lo sforzo diplomatico non può aspettare la fine della guerra. Occorre sempre lavorare per il tessuto della vita civile, per la dieta poetica, per la cucina quale cura immunitaria, anche della guerra.



Giancarlo Calciolari

19 marzo 2022

Articolo pubblicato sul sito www.artvalley.org

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